Un punto d’incontro tra innovazione, formazione e business. Questo è l’Hub per il Made in Italy di Italiacamp a Dubai. A raccontarcelo è Valeria Maria Fazio, recentemente nominata nel Board Member di Italiacamp EMEA, a fianco di Leo Cisotta in qualità di General Manager e Guido Fienga come Chairman. Uno stimolante lavoro di team per far vincere alle imprese italiane la sfida dell’internazionalizzazione in mercati in forte espansione in cui il made in Italy ha ancora grandi opportunità da cogliere
“Cosa fai negli Emirati Arabi Uniti?” è una domanda che Valeria Maria Fazio si è sentita fare spesso nell’ultimo anno. Lei è docente di Imprenditorialità e Storia del Made in Italy all’Università Europea di Roma, con un’esperienza più che consolidata nel supporto finanziario alle imprese che investono in progetti sostenibili.
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Cosa ha a che fare tutto ciò con gli Emirati Arabi Uniti, paese fra i più cosmopoliti del mondo? Da circa un anno Valeria Maria Fazio ne ha fatto la sua dimora per portare avanti il primo hub internazionale di Italiacamp: l’Italiacamp Dubai Hub for Made in Italy negli Emirati Arabi Uniti (sito web), che intende essere un ponte per le società italiane che vogliono esportare il proprio business e know how in Medio Oriente, Nord Africa e Sud Est Asiatico.
Obiettivo? Raccogliere la sfida dell’internazionalizzazione di aziende de, istituzioni, università e di tutte le eccellenze italiane che vogliono esportare le loro attività in mercati in espansione e in cui il made in Italy ha ancora grandi opportunità da cogliere.
«Da qui cambia tanto la prospettiva di visione del nostro Paese – spiega Fazio – quando sei immerso in una realtà, le difficoltà ti appaiono come problemi, viste da fuori, invece, sono tutte opportunità e portare qui i progetti di impresa vuol dire proprio questo: cogliere un’opportunità in un mercato che si impegna a essere virtuoso per i prossimi 50 anni, avere cioè un mercato di riferimento ulteriore che contribuisce a far crescere la produttività delle imprese e tirar fuori un potenziale che altrimenti rimarrebbe inespresso».
Ma perché gli Emirati Arabi, oggi, sono così appetibili?
«Dove c’è ordine, si può disegnare un progetto di sistema, e se c’è visione, allora c’è anche sviluppo – non ha dubbi Fazio, che può annoverare tra i titoli anche un dottorato di ricerca in Storia e Teoria dello sviluppo economico –. Immagino la grandezza dell’Impero Romano e vorrei poterla “rivedere” in quella stessa grandiosità dove i “visionari” sono capaci di orientare le scelte per fare rete, fare sistema.
L’Italia è indietro sulla capacità di fare sistema ed è una grande carenza, anche se questo non vuol dire che non si possa fare. Ma bisogna avere visione, avere visionari. Bisogna avere visione. Negli Emirati c’è un ministero per gli Investimenti, che ha la funzione di attrarre, orientare e sviluppare strategia per lo sviluppo dello Stato del Golfo sia a livello globale che interno, anche in vista della crescente concorrenza economica dei Paesi vicini.
Tra gli obiettivi del ministero c’è quello di rendere la legislazione e le procedure nazionali più competitive per attrarre gli investimenti globali. Noi dobbiamo avviare un processo virtuosamente imitativo, che non vuol dire banalmente copiare, ma guardare che fanno i “più bravi” e innovare quell’imitazione, adattandola alla nostra cultura».
Il sistema Italia però non può non parlare con le istituzioni, anzi questo dialogo sembrerebbe determinate, è corretto?
«Assolutamente sì, qui negli Emirati sei uno tra tantissimi e quando devi raccontare il tuo Paese è importante che tu lo faccia con orgoglio. Se devi innovare la tradizione è importante farlo insieme con l’ecosistema di riferimento costruendo un proprio modello di sviluppo.
Occorre un sistema interconnesso in cui ogni attore lavora per sé e al contempo per il sistema Italia, implementando quella che si definisce “coopetizione”, che coniuga le caratteristiche di competizione e cooperazione.
Chiaramente non si può mortificare il principio della concorrenza, ma allo stesso tempo si può collaborare in vista di un obiettivo comune».
Quanto conta la formazione in tutto ciò?
«La formazione è essenziale, lo sviluppo in quanto tale non si identifica nel la risoluzione di un problema nell’immediato, ma necessita di una visione su come quel problema va affrontato per portarlo a risoluzione. Io amo ripetere ai miei studenti: innamoratevi più del problema che dell’idea, non tutto è realizzabile né accoglibile dal mercato, ma avere capacità di vedere oltre è un talento che va messo a frutto.
Qui, a scuola, si gioca a scacchi, ad esempio, ed è importantissimo perché serve ad allenare la testa nella ricerca di soluzioni».
Quanto valgono le competenze?
«Sono essenziali, ma anche l’attitudine al riconoscimento dei talenti è imprescindibile. Oggi la difficoltà non sta tanto nel posizionarsi sul mercato, ma nel rimanerci, mantenere alto lo standard raggiunto. Occorrono capacità di leadership, capacità di riconoscere una sfida e fermarsi in quello che si sta facendo, imparando a organizzare il proprio spazio e tempo.
Nell’Hub abbiamo deciso di abbinare l’approccio al business con un collegamento
costante ai percorsi di education improntati sui settori strategici del Made in Italy senza trascurare la crescita personale oltre professionale. Oggi, una generazione annoiata con tutti gli stimoli che ha non è ammissibile, anche su quello occorre lavorare».
Negli Emirati Arabi, oltre al ministero per gli investimenti è stato istituito anche il ministero per la Felicità che vuole indirizzare le scelte politiche verso obiettivi di benessere e soddisfazione della popolazione. Diverse ricerche ufficiali hanno dimostrato che programmi e servizi volti a promuovere uno stile di vita positivo, incrementano la soddisfazione personale e professionale delle persone.
Questa è innovazione che porta sviluppo. «Il governo lavora per garantire benessere e felicità al popolo, per questo è necessario che tutti siano messi in condizione di poter realizzare i propri sogni e le proprie ambizioni – conclude Fazio –. Investire sui giovani vuol dire investire sul futuro del proprio Paese.
Non a caso il capitale umano è una componente traducibile in valore e competitività per l’impresa perché implica la restituzione in termini di performance di un valore aggiunto e restituisce al sistema anche la propria capacità di contaminarsi positivamente».
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