Di imprenditoria femminile abbiamo parlato con Antonella Giachetti, presidente nazionale di AIDDA – Associazione Imprenditrici e Dirigenti d’Azienda
Essere donna, oggi, è una sfida. Lo sa bene Antonella Giachetti, fiorentina di nascita, che dal 2020 ricopre la carica di presidente nazionale di AIDDA – Associazione Imprenditrici e Dirigenti d’Azienda, la prima associazione italiana nata con lo specifico obiettivo di valorizzare e sostenere l’imprenditoria al femminile, il ruolo delle donne manager e delle professioniste.
There is no ads to display, Please add some
Oltre a svolgere dagli anni ’80 la professione di dottore commercialista, Antonella Giachetti ricopre la carica di consigliere di amministrazione in 7 società, di presidente del collegio sindacale in 4, di sindaco effettivo in 2.
Nel 1961, anno di nascita dell’associazione AIDDA, la prima presidente Marian Taylor Abbagnano affermò: «Tutte le donne e in particolare quelle che occupano posti di responsabilità possono contribuire a sciogliere, a modificare o addirittura cancellare, dove necessario, gli schemi rigidi, immobili e costrittivi del tradizionalismo, dell’oscurantismo, del fanatismo e dell’intolleranza, prendendo una posizione precisa e una consapevolezza delle proprie responsabilità in una società che sempre più ha bisogno del loro apporto concreto».
Sessant’anni dopo, quali sono le sfide che le donne imprenditrici italiane si trovano ad affrontare?
«Marian Taylor Abbagnano ha colto la valorialità femminile che è, ancora oggi, il contributo necessario alla vita. Noi, come AIDDA, l’abbiamo sempre sostenuto: già nel 2015, prima della pandemia e prima della guerra, abbiamo dichiarato che, se il mondo è imploso è anche a causa di una mancanza nelle sedi decisionali di valorialità femminile.
Oggi, viviamo in una società di profondi squilibri, ma per sopravvivere è necessario equilibrare i valori, rispettando il principio della vita: ci vuole tanto maschile quanto femminile, affinché la cura, da sempre appannaggio della donna, entri nella società.
Questa è la sfida e il compito delle donne imprenditrici: aiutare il processo. Il 25 settembre con Unicredit e l’Università degli Studi Milano-Bicocca abbiamo lanciato il progetto “Con Me al Centro”, un percorso di formazione, online on demand, imprenditoriale e finanziaria, per le donne che vogliono avviare un’impresa.
Le stime dicono che nell’80 per cento dei casi, la violenza fisica sulle donne è stata preceduta da una violenza economica e finanziaria. Noi vogliamo aiutare le donne a essere indipendenti: l’autoimprenditorialità è la chiave dello sviluppo del nostro sistema».
Secondo l’Istat il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni sale al 52,6 per cento, segnando un incremento di 1,2 punti percentuali rispetto all’anno precedente, ma ancora lontano dalla media europea che si attesta al 66 per cento.
Il PNRR è un’opportunità per l’occupazione femminile o rischia di diventare un’occasione persa?
«Il PNRR potrebbe essere un’opportunità, ma occorrerebbero più fondi. Non mi sembra sia ancora stato fatto il salto per andare verso una società orientata all’educazione e non solo all’istruzione delle generazioni future, una società che aiuti le famiglie.
I bambini devono essere considerati un’esigenza e una priorità per tutti e non solo per chi li fa, quello che manca è un’assistenza di prossimità. È un dato di fatto che più una donna ha la possibilità di lavorare più farà figli».
Nella legge di Bilancio 2024 sono allo studio misure per favorire l’occupazione femminile. Come si possono supportare le giovani imprenditrici?
«Le giovani donne vanno aiutate a fare un salto imprenditoriale, anche con l’aiuto del mondo dell’associazionismo. Fare impresa oggi è una sfida importante, ci sono tanti elementi e tante componenti da tenere in considerazione e per questo è importante la formazione».
Siamo partiti dal 1961, ma andiamo ancora più indietro nel tempo, al Settecento di Adam Smith, il primo ad aver introdotto il concetto di capitale umano nel pensiero economico sostenendo che una delle variabili fondamentali per l’andamento dell’economia e la sua crescita è il capitale umano.
Quali sono oggi gli strumenti per accrescere la produzione e lo sviluppo dell’impresa?
«Qui c’è bisogno che un attore importante del nostro sistema attuale faccia la sua parte: l’Europa. È urgente la definizione di una politica industriale europea strategica, a medio e lungo termine, che argini il fenomeno della de-industrializzazione del nostro continente. Noi siamo ancora in un mercato in cui la preoccupazione è la libera concorrenza. Bisogna creare le condizioni affinché sia utile e proficuo creare impresa».
A incidere sul lavoro, oggi, sono anche la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale.
C’è il rischio che le nuove tecnologie portino alla sostituzione del capitale umano?
«Più che di crescita si deve parlare di sviluppo, che vuol dire maggiore benessere umano. Il PIL deve comprendere non solo la produzione, ma anche un diverso ritmo, il benessere in termini di nutrimento interiore, umanistico e culturale.
È una trasformazione ciclica, ci saranno meno operai sostituiti dalle nuove tecnologie, ma si dovranno trovare le persone che dovranno garantire una crescita umana, formativa, educativa».
Come cambierà il mercato del lavoro?
«Bisogna partire da un presupposto e cioè che è impossibile una crescita infinita in un pianeta finito. Il nostro ritmo, connesso al PIL, è un ritmo che ammala l’uomo: il ritmo della nostra società è produrre, consumare, distruggere; il ritmo della vita è generare, trasformare, morire. Sembra uguale ma non lo è.
Dobbiamo cambiare il ritmo di questa produzione incalzante, che è preludio della crescita, e trovare una composizione di PIL diversa, dove ci sia spazio anche per il benessere umano interiore. Non siamo androidi, siamo umani».
Leggi altro da ‘I Protagonisti’