In leggera crescita il mercato dell’auto elettrica in Italia, ma il settore presenta ancora delle criticità. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova
Il mercato dell’elettrico è in competizione mentre si affaccia la Cina e sono pronte altre nazioni a scommettere in Europa. Se il Gruppo Stellantis sostiene che «è una transizione che non abbiamo deciso noi», come sottolinea Carlos Tavares, amministratore delegato, non può mancare la Cina che ha iniziato già dagli anni ’90 a lavorare sul motore elettrico. È del tutto evidente che ha una preparazione maggiore nel settore elettrico, garantendo tipologie di autovetture all’avanguardia.
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C’è un grande interesse economico mentre l’Europa non ha sfruttato al massimo i biocarburanti studiando e progettando motori adeguati. La partita economica è comunque aperta e la discussione si accende sempre più. Con Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova, think tank specializzato in lavoro e sviluppo sostenibile nato dall’esperienza del laboratorio milanese di Marco Biagi, analizziamo le criticità del mercato dell’auto elettrica.
Auto elettrica. Che ruolo assumono i grandi costruttori del settore automotive?
«L’auto elettrica è un’idea che arriva da Pechino. Non è un caso che proprio l’industria cinese sia più avanzata in questo senso. Quando negli anni ’90 la Cina comincia a diventare una piattaforma industriale, i cinesi pensano che – sul piano tecnologico – sia meglio non emulare la grande industria dell’auto europea e americana ma pensare a delle alternative.
È così che nasce l’ipotesi del motore elettrico e che viene portata avanti in virtù del fatto che proprio in quel periodo, grazie a Deng Xiaoping, i cinesi iniziano a controllare le estrazioni di terre rare.
Oggi abbiamo capito tutti quanto queste siano la materia prima del futuro. Ai nostri giorni, per effetto della contrazione del settore auto che ha colpito il mercato UE negli ultimi 15 anni, i grandi costruttori europei hanno pensato che l’auto elettrica potesse essere un volano per il rinnovo del parco circolante e per rifondare industria e mercato europeo, anche in scia alle nuove esigenze dettate dalla crisi climatica. Oggi – mentre da Oriente arrivano le supernavi cariche di auto elettriche prodotte in Cina – Volkswagen, Stellantis e Renault, ma anche Mercedes, Audi, BMW e altre stanno tutte ripensando i loro piani. Segno che qualcosa non sta funzionando come loro pensavano».
Perché non sono stati valorizzati sufficientemente i biocarburanti?
«Non sono stati al momento valorizzati ma credo lo saranno in futuro. Come sappiamo, lo scorso anno in sede di Consiglio europeo si è deciso di ritenere gli e-fuels un tipo di alimentazione “green”. Questo significa due cose: si è iniziato a individuare altre tecnologie pulite oltre all’elettrico; il motore endotermico non è finito. In sintesi, credo che la transizione della mobilità sarà resa meno drastica anche riabilitando tecnologie diverse (ibrido, diesel di nuova generazione, e-fuels, biocarburanti altro).
Per quanto riguarda l’idrogeno, Toyota sta facendo progressi importanti nel motore ad acqua: viene cioè ricavato il combustibile direttamente nel veicolo evitando lo storage di idrogeno, che è pericoloso. Per il momento, è toccato agli eFuel – la Germania, del resto, si era mossa con molto anticipo – ma credo che anche per i biocarburanti ci saranno possibilità, riconosciuti in sede di G7 come alimentazione “green” sempre lo scorso anno.
Peraltro, Eni è leader nel mondo nella produzione di biocarburanti e, in Italia, a Marghera e a Gela sono stati portati avanti progetti di riconversione industriale molto importanti. Sappiamo anche che la multinazionale italiana intende crescere la produzione a 2 milioni di tonnellate all’anno nel 2025 e a 6 milioni nel 2035. Evidentemente, negli ambienti giusti, qualche certezza sul futuro dei biocarburanti ce l’hanno».
Il mercato italiano non scommette sull’auto elettrica. Perché?
«L’Italia è il Paese che, nel mondo, produce la miglior componentistica. La tecnologia elettrica ridimensionerà di molto questo settore. Chiaro che la diffidenza verso l’auto elettrica parte da qui.
Poi vi sono altri fattori, a partire dai costi più alti e dal fatto che la trasformazione delle infrastrutture della mobilità procede lentamente, anche per le difficoltà di approvvigionamento di materie prime in questa fase di forte instabilità internazionale. Tuttavia, di recente, a Bergamo – uno dei distretti più importanti della componentistica dell’auto italiana – hanno avviato una riflessione pubblica per capire come riconvertire le forniture dell’automotive in prodotti per aerospace e difesa. Mi sembra un passaggio molto importante.
Siamo un Paese con un tessuto industriale che troverà il modo per restare competitivo. Alfred Marshall diceva che l’industria è cultura e conoscenza che si sedimenta. È questa una trasformazione molto profonda, ma non perderemo il nostro know how e la nostra capacità produttiva».
Qual è la posizione dell’Europa?
«L’Europa si muove ancora in modo molto macchinoso. Bisogna che si insedi la nuova Commissione per avere novità dal punto di vista del quadro normativo. I costruttori vogliono rivedere il Fit for 55, anche recentemente si è saputo di questa lettera di Luca De Meo (Ad Renault e presidente dell’Associazione dei grandi costruttori) che ribadisce la difficoltà di competere con Pechino – anche sul piano dei costi – e la necessità di pensare a un modello “Airbus”. Sono tutte cose di cui al momento in Europa si parla ma che verranno affrontate dopo le elezioni europee dal nuovo gruppo dirigente».