Angelo Di Gregorio analizza le trasformazioni nel panorama del marketing aziendale derivanti dall’era digitale
Da più di trent’anni offre supporto al mondo delle imprese per lo sviluppo di progetti di ricerca applicata e di attività di consulenza prevalentemente nelle aree strategia, marketing e comunicazione: è Angelo Di Gregorio, professore ordinario di Economia e gestione delle imprese presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, direttore del CRIET – Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio e presidente della Società Italiana Marketing.
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Lo abbiamo intervistato sul tema dell’innovazione nell’ambito del marketing e della comunicazione d’impresa.

Con la trasformazione digitale in atto, quali sono i principali cambiamenti che le imprese devono affrontare nella gestione delle proprie attività di marketing?
«Partiamo da una premessa. Perché una qualsiasi società civile deve innovare? Le persone consumano risorse per il semplice fatto di vivere e di svolgere attività sociali. A fronte di tali consumi, è indispensabile che le risorse vengano ricostituite, altrimenti la società tenderebbe a implodere su se stessa e a dissolversi.
Nel sistema capitalistico, la ricostituzione delle risorse e la messa a disposizione di maggiori risorse per il consumo o per lo sviluppo è affidata alle attività delle imprese. Da qui un’altra domanda: perché le imprese, in quanto soggetto economico, danno origine all’innovazione?
Perché, a seguito delle azioni dei concorrenti, che introducono nuovi modelli e/o prodotti più favorevolmente accettati dalla domanda, devono a loro volta innovare per ricostituire la propria capacità di generare reddito, il cosiddetto potenziale di reddito.
In altre parole, ogni impresa ha un potenziale di reddito che tende via via a erodersi e che deve essere ricostituito con attività di ricerca e sviluppo che se hanno successo conducono a nuovi modelli di prodotto o di processo.
Le attività di ricerca necessarie per ricostituire tale potenziale di reddito possono essere di tipo incrementale oppure di tipo radicale.
Le prime sono modifiche migliorative, le seconde riguardano la creazione di prodotti (o processi) innovativi che contengano in loro stessi altri prodotti che prima erano distinti. Un esempio di innovazione radicale è lo smartphone, che racchiude distinte funzionalità che prima erano proprie di tre diverse categorie di prodotti (il telefono, la macchina fotografica e il lettore musicale mp3).
Inoltre, le innovazioni delle imprese possono distinguersi in due grandi categorie: le innovazioni di processo e le innovazioni di prodotto.
Consideriamo innanzitutto le innovazioni di processo, che negli ultimi 20-30 anni si sono manifestate soprattutto con la cosiddetta trasformazione digitale (IV rivoluzione industriale).
Possiamo osservare che nella gestione di impresa, la trasformazione digitale dapprima si è manifestata nel mondo della produzione, con tutto quello che siamo abituati a chiamare “industria 4.0”. La sensoristica, applicata alle unità elementari di impianto, ossia alle macchine, ha permesso di passare da un controllo basato su una reportistica ex post a un controllo in tempo reale, generando tutta una serie di benefici e di ottimizzazione dei processi.
A partire dagli inizi degli anni 2000, parallelamente all’introduzione dello smartphone, la tecnologia si è manifestata nei modelli di business online: sono nate tutte quelle piattaforme su Internet che, grazie anche a una serie di touchpoint digitali, permettono di profilare in modo dettagliato il consumatore (oppure il cliente industriale) e, quindi, di applicare un marketing one to one.
La profilazione permette tutta una serie di attività lungo il processo di acquisto (la cosiddetta customer journey), allo scopo di realizzare una relazione di lungo periodo con il cliente e in ultima analisi di fidelizzarlo.
Infine, la tecnologia digitale, dopo essere intervenuta nel mondo della produzione e sulle piattaforme online, sta profondamente cambiando anche il retail: nel commercio e nella grande distribuzione, la sensoristica sta infatti permettendo una serie di evoluzioni nella gestione del punto vendita, dagli strumenti di tracking per collezionare dati e capire i comportamenti dei clienti.
L’obiettivo è sempre quello di profilare il consumatore e di arrivare a costruire un customer database utile per una gestione one to one della relazione.
Riepilogando: l’innovazione tecnologica di tipo digitale nei processi aziendali, applicata nella fabbrica, nell’online e nel retail, sta portando alla convergenza di informazioni strutturate in un unico customer database.
Questa integrazione sarà la sfida del futuro, sulla quale si andranno a innestare alcune delle principali tecnologie collegate all’intelligenza artificiale, con tutte le sue declinazioni: dall’intelligenza artificiale generativa al machine learning, per una nuova categoria di linguaggi che svolgono attività predittive volte al miglioramento dei processi produttivi o alla profilazione dei consumatori.
Dalle tendenze nell’innovazione di processo passiamo alle tendenze nell’innovazione di prodotto. Partiamo anche qui da una premessa: il prodotto non va più inteso in senso stretto, ossia per i suoi benefici funzionali.
Ad esempio, il telefono genera valore non solo perché permette di effettuare chiamate, ma anche quale status symbol e per le componenti accessorie ad esso collegato (ad esempio, piani di acquisto agevolati o sito dedicato per gli aggiornamenti).
L’innovazione di prodotto si può quindi manifestare in ognuna delle aree citate. Se sono ovvi i benefici di alcune innovazioni collegate ai benefici funzionali e accessori, non è assolutamente da sottovalutare l’innovazione simbolica, dal momento che oggi i consumatori non solo sono utilizzatori esperti, ma hanno anche risolto tanti dei bisogni elementari e di base collegati.
I benefici simbolici assumono spesso un ruolo fondamentale per guidare le scelte: si tratta di tutta quella componente che si può ricondurre a livelli di notorietà oppure ad associazioni di marca collegate a una determinata offerta. In ogni caso e a seconda dei settori industriali o delle filiere produttive, l’innovazione di prodotto si manifesta con modalità e forme diverse.
In alcuni casi, si tratta di innovazioni di tipo radicale che tendono a cambiare in modo sostanziale il settore, in altri casi può avere un valore centrale la componente incrementale o riconducibile a fattori di moda.
Affrontando il tema dell’innovazione a livello d’impresa c’è anche da riconoscere sullo sfondo l’importanza della componente geopolitica nel guidare i processi di cambiamento, non solo a livello di singola impresa ma anche a livello di settori e, più in generale, di filiera.
Fino alla fine del secolo scorso la globalizzazione era data per acquisita e perseguita con la delocalizzazione degli stabilimenti produttivi in alcune aree del mondo. Oggi è viceversa cresciuta la consapevolezza che ogni area geografica o nazione deve soddisfare un set di produzioni primarie in modo quasi autarchico.
Questo perché l’evoluzione del sistema capitalistico e soprattutto quello intervenuto nei paesi in via di sviluppo ha posto le diverse aree geopolitiche del mondo (Europa, Nord America, Sud America, Cina, Sud-est Asiatico) in condizione non più di assolvere un ruolo ben determinato nelle filiere internazionali, ma di agire come attori che in modo paritetico conducono la loro competizione e portano avanti i propri processi innovativi per assumere un vantaggio competitivo.
Su questi scenari vanno a innestarsi i processi di innovazione, che, lo ricordiamo, vengono condotti dalle singole imprese e quindi influenzate da dimensione, settore e tipo di governance».
Quale ruolo vuole assumere il CRIET nel contesto dei mutamenti che stanno scaturendo dalla transizione digitale ed ecologica?
«Il CRIET è un centro di ricerca che riunisce nove istituzioni universitarie, per un nuovo modo di “fare università” fondato su concetti quali la convergenza pubblico/privato, la multidisciplinarietà, la realizzazione di “reti di attori” della società. Si tratta del fulcro di un network che mette a sistema conoscenze e interessi di università, istituzioni e imprese, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo del territorio.
Le prime ricerche del CRIET sui temi della sostenibilità e della trasformazione digitale risalgono al 2012, anche attraverso ricerche condotte a livello internazionale su imprese di diversi paesi europei. Le aree principali di studio del CRIET sono essenzialmente tre: l’area del marketing e del management, del turismo, dello sviluppo sostenibile.
Quest’ultimo viene trattato in maniera mirata, con particolare riferimento ai seguenti temi: Oil & Gas, in collaborazione con il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica (MASE); efficientamento energetico, in collaborazione con ENEA; materie prime critiche, in collaborazione con il Ministero delle imprese e del made in Italy e con il MASE.
Sono temi che affrontiamo dal punto di vista operativo e con un approccio molto concreto, analizzando le eventuali soluzioni ed evitando un approccio astratto.
Di recente, il CRIET ha avviato il processo di costruzione di uno spin off accreditato dall’Università di Milano-Bicocca, allo scopo di dare risposte concrete alle aziende sulle tematiche della transizione green e digitale, fornendo concrete soluzioni sia a livello strategico che tecnologiche ai problemi relativi allo sviluppo sostenibile».
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