“Strategia, che passione!” di Massimo Giannecchini in collaborazione con Riccardo Paterni. Una guida pratica per gli imprenditori e manager
Per un imprenditore scrivere un libro significa restituire alla comunità le proprie acquisizioni professionali e condividere una parte del proprio patrimonio di competenze con quanti possono essere interessati alla propria crescita, sia nel business che in altre attività quotidiane.
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Tra le ultime novità editoriali in ambito economico c’è il volume “Strategia, che passione!”, una guida pratica pubblicata da Guerini Next e scritta da Massimo Giannecchini, imprenditore e consulente che ha fatto della strategia aziendale un attitudine e uno stile di vita, da proporre non solo a manager d’azienda, ma anche a sportivi e privati cittadini.
Il libro è stato scritto in collaborazione con Riccardo Paterni, anch’egli imprenditore e consulente, specializzato su temi di internazionalizzazione e di performance in ambiti sportivi e aziendali.
Guerini Next è un marchio editoriale della casa editrice Guerini e Associati che vuole approfondire in chiave innovativa i grandi temi dei mutamenti organizzativi prodotti dalle nuove tecnologie nelle imprese.
Con Massimo Giannecchini abbiamo approfondito i contenuti del libro, alla luce della sua formazione e del suo percorso professionale.
Qual è il suo percorso professionale e cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
«Dopo un diploma tecnico, a 23 anni ho fondato insieme a un socio una piccola attività che oggi si chiamerebbe “start up”, la quale nel 2018 è stata ceduta a una multinazionale.
I miei trentasei anni da imprenditore mi hanno fornito gli strumenti per offrire delle consulenze in ambito aziendale, in particolare nell’ambito della gestione strategica delle aziende e Pmi, supportandole in momenti di importanti cambiamenti aziendali come il ricambio generazionale, le fusioni, le acquisizioni e le cessioni aziendali.
Dopo la vendita dell’azienda, ho intrapreso insieme a Riccardo Paterni la strada delle consulenze aziendali, in Toscana e non solo. Grazie a questa esperienza mi sono reso conto che per 35 anni avevo vissuto in una sorta di bolla, pensando che tutte le aziende funzionassero nello stesso modo.
L’evoluzione che aveva interessato la nostra azienda negli ultimi 15 anni della sua vita era invece diversa, in particolare dal punto di vista strategico. Questo mi ha reso consapevole del fatto che le aziende alle quali ho fatto consulenza tralasciavano molto la strategia aziendale, seguendo il lavoro routinario e quotidiano e concentrandosi solo sul breve periodo.
Da qui ho sentito l’esigenza di comunicare questo stato di fatto e di confrontarmi con altre aziende che volessero intraprendere il percorso strategico. Sulla base della mia esperienza personale, la strategia ha raddoppiato i risultati e dimezzato gli sforzi».
Che cos’è la strategia aziendale e perché è così importante per fare impresa?
«La strategia è qualcosa che noi stessi mettiamo in pratica ogni giorno anche se non ce ne rendiamo conto, anche nei momenti in cui siamo liberi dal lavoro e dobbiamo prendere delle decisioni che riguardano il nostro agire quotidiano o il nostro tempo libero.
Quando però siamo all’interno di un processo produttivo o lavorativo, la nostra forma mentale ci impone di calarci in un ruolo. Un imprenditore può calarsi nel ruolo di colui che pensa solo al profitto e allo stesso modo, i manager possono pensare solo alla carriera.
Come si legge nel capitolo del libro dedicato alla missione e alla condivisione dell’obiettivo, “comunicare tra persone che vivono soggettivamente la loro unicità sul piano parallelo personale e non oggettivamente sul piano dei principi comuni è assolutamente difficile e porta a risultati di gruppo non soddisfacenti”.
Metaforicamente, l’azienda funziona come una barca alla deriva. Un destino che può essere evitato mettendo in piedi una strategia e puntando decisamente la barca verso la boa, arrivandoci possibilmente prima degli altri e cambiando rotta in caso non sia quella giusta.
Tutta l’azienda, che è come un organismo vivente e lo è a prescindere dal numero dei suoi componenti, deve quindi andare in un’unica direzione.
In questo percorso, dovrebbe trovare posto anche in Italia la cultura del fallimento, già ben radicata nei paesi anglofoni. Tendiamo infatti a credere che tutto possa funzionare come ha sempre funzionato per le generazioni precedenti ed invece le aziende hanno bisogno di essere modificate a seconda degli eventi. Eventi sempre più impattanti e determinanti, anche se accadono a migliaia di chilometri di distanza».
Qual è la sua idea di leadership?
«Nelle Pmi, è auspicabile che gli imprenditori comprendano a fondo le difficoltà operative dei propri collaboratori, aiutandoli ad organizzarsi in una forma più fluida e umana. Solo così si possono ottenere dalle persone tutte le cose positive e meravigliose che ci possono dare.
Sentirsi coinvolti rende felici anche i collaboratori, confermando il fatto che l’uomo è un animale sociale, che ha bisogno di vivere insieme ai suoi simili e di interagire. Il fatto di curare le risorse umane in maniera approfondita permette in ultima istanza all’imprenditore di capire cosa funziona e cosa non funziona. Oltre alla capacità di ascolto, ci vuole una buona dose di umiltà.
In particolare, il metodo da intraprendere è quello del miglioramento continuo: il lavoratore deve essere coinvolto in un sistema dove non c’è l’errore e la colpa, ma dove ci sono il problema e la soluzione.
Si deve passare dalla paura continua di poter ricevere un rimprovero al sentirsi chiedere aiuto per risolvere una situazione. Si può agire come con i nostri figli, accogliendoli e facendo presente che tutti possono sbagliare, l’importante è imparare a non farlo più.
Un imprenditore cosciente si rende conto che ogni dieci azioni è naturale sbagliarne due o tre.
Anzi, nell’ambito commerciale, quando si fanno dieci proposte e se ne ricevono in cambio tre, possiamo già considerarlo un risultato più che soddisfacente: non significa che si è sbagliato sette volte, ma si sono fatti dieci tentativi per ottenere quei tre risultati positivi.
Non è semplice per il comune mortale arrivare a queste conclusioni, se non dopo una vita. Ecco che allora vale la pena instillare la cultura del fallimento: sbagliare è umano ed è anche necessario per imparare».
Quali sono i must futuri che guideranno le aziende nei prossimi dieci anni?
«Il più importante è l’interdipendenza, ossia lo scambio tra due attori di pari valore e dignità, anche se diversi tra loro per le proprie funzioni, responsabilità, caratteristiche e talenti. Vivere in modo interdipendente significa far parte di una comunità, partecipare con le proprie attitudini, risorse e capacità a un progetto più ampio e remunerativo per ognuno.
La pandemia da Covid-19 ci ha reso consapevoli della necessità di trovare la piena collaborazione di ogni continente verso le sfide che riguardano l’umanità: la transizione ecologica, la migrazione, le epidemie e le nuove scoperte scientifiche. Le soluzioni a temi così complessi si trovano solo con una mobilitazione globale.
Inoltre, il quadro geopolitico è in costante mutamento: per esempio, entro 8-10 anni gli Stati Uniti non saranno più egemoni, ci sarà un nuovo equilibrio che funzionerà solo se ci sarà una vera interdipendenza, sintetizzabile così: liberi ognuno a casa nostra ma amici.
L’intelligenza artificiale sarà un altro dei must che muoveranno le masse verso prodotti e servizi: rappresenta il progresso e se sarà usata bene produrrà enormi benefici nei settori più disparati»

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