La diffusione degli Airbnb e i suoi riflessi sul mercato delle abitazioni: alcune evidenze dal caso italiano. Ecco i punti principali della nota di lavoro dell’IRPET sugli affitti brevi
La rapida diffusione del mercato degli affitti brevi, soprattutto attraverso la piattaforma Airbnb, ha prodotto impatti rilevanti su alcuni contesti urbani, ragione per cui è stata oggetto di molte critiche. Tra le questioni centrali vi è quella della conflittualità con la residenza stabile, sia in termini qualitativi (rumorosità, insicurezza, ecc.), che quantitativi (valori degli immobili residenziali, contrazione dell’offerta già scarsa di locazioni a lungo termine).
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In funzione del peso relativo delle diverse esternalità, più o meno positive, possiamo aspettarci che queste possano deprimere i valori immobiliari qualora ne risenta negativamente la vivibilità del quartiere oppure che l’aumento della domanda di immobili da destinare ad affitti brevi si scarichi sul costo degli alloggi residenziali, rendendo l’abitazione meno accessibile. In ogni caso, il crescente manifestarsi degli effetti di spillover ha posto le città, in cui questo tipo di offerta è particolarmente presente, di fronte a nuove sfide regolative. Da qui l’esigenza di approfondire il tema con il supporto di evidenze quantitative.
Nella crescente letteratura sugli impatti degli Airbnb si possono individuare quattro filoni principali di analisi:
il primo attiene agli effetti della loro diffusione sulla ricettività ufficiale (hotel) in termini di tariffe medie giornaliere, tasso di occupazione delle camere e margini di redditività, da cui sarebbe derivato soprattutto lo spiazzamento delle strutture alberghiere più economiche (Petrella e Torrini, 20191; Dogru et al., 20202);
il secondo filone analizza l’impatto sul mercato del lavoro delle attività legate alla sharing economy, tra cui l’home sharing, e riconosce come effetti principali la possibilità di redditi integrativi per le famiglie proprietarie di immobili, lo spostamento di opportunità di lavoro dal settore alberghiero a quello degli affitti brevi, con un lieve effetto negativo sulle retribuzioni (Sociu, 20163; Basuroy et al., 20204);
il terzo filone riguarda gli effetti sul quartiere, in particolare sulle condizioni di vita e sulla composizione della popolazione, anche in questo caso con effetti ambigui che vanno dal recupero di aree degradate a fenomeni di spiazzamento, congestione e degrado (Lee, 20165; Stergiou and Farmaki, 20206);
l’ultimo infine, valuta gli impatti sul mercato immobiliare e in particolare sul costo dell’abitare, in merito ai quali c’è un generale riconoscimento del contributo degli affitti turistici brevi all’innalzamento dei prezzi (pur con intensità molto differenziate) e alla contrazione dell’offerta di locazioni per la popolazione residente.
A tale proposito, volendo approfondire quest’ultimo aspetto, possiamo sostenere che l’impatto sul mercato immobiliare possa dipendere da diversi fattori: il primo di questi ha origine dal fatto che si tratta di un’attività vera e propria, più o meno strutturata, in grado di incrementare le entrate e/o i redditi determinando un aumento della domanda solvibile che poi si riflette sui prezzi, con un effetto più intenso laddove l’offerta è tendenzialmente rigida e già satura.
Tali effetti, tuttavia, potrebbero anche essere l’esito dell’attivazione di economie locali e di processi di rigenerazione urbana e quindi di un innalzamento della qualità complessiva del quartiere, che poi trova un riscontro positivo nei valori immobiliari. L’ultima casistica teorizza l’esistenza di una relazione negativa con i prezzi delle abitazioni poiché riflette la conflittualità con la residenza stabile portando, questa volta, a una diminuzione del livello di benessere e quindi a un peggioramento degli andamenti del mercato immobiliare.
Alla luce delle dinamiche richiamate, e considerando che gli studi realizzati sulle città italiane sono ancora poco numerosi, questo lavoro mira a misurare l’impatto della crescita degli affitti turistici brevi sui valori immobiliari di un gruppo di città italiane, di cui si dispone delle informazioni a scala sub-comunale, di dimensioni medio-grandi, attrattive di flussi turistici a motivazione culturale e distribuite su tutto il territorio nazionale. Le città prese a riferimento sono: Milano, Bergamo, Venezia e Bologna a Nord, Firenze e Roma al Centro, Bari, Lecce, Napoli e Palermo a Sud.
1.1 La diffusione degli Airbnb
Airbnb, fondata a San Francisco nel 2008, è oggi la piattaforma di intermediazione sul mercato delle locazioni a breve termine più importante al mondo. Diffusasi a partire dalle grandi città, ha ben presto conosciuto un’ampia propagazione verso i centri urbani minori e anche nelle località periferiche più attrattive. La piattaforma offre due possibili formule, che riguardano l’affitto o di singole stanze, di solito in abitazioni occupate dal proprietario, o di interi appartamenti. Di conseguenza l’host, vale a dire il proprietario dell’alloggio o comunque colui che gestisce l’immobile sulla piattaforma, può essere più o meno strutturato, ovvero può trattarsi dello stesso proprietario oppure di una società che gestisce vari appartamenti.
Le differenze richiamate, ovvero l’affitto di una stanza piuttosto che dell’intero appartamento, così come la gestione diretta di un solo alloggio o di una pluralità di appartamenti tramite una società, implicano gradi diversi di intensità imprenditoriale, differenti modelli di distribuzione del reddito generato, così come di diversa entità appaiono gli impatti prodotti sul contesto urbano di appartenenza. Si tratta di aspetti rilevanti di cui, così come verrà spiegato di seguito, tiene conto l’analisi qui proposta.
Per comprendere appieno l’entità del fenomeno, si pensi che nel 2021 (Tab. 1) le strutture Airbnb, circa 476mila, hanno attivato quasi mezzo milione di annunci e generato transazioni per un valore superiore a 2,9 miliardi di euro, a fronte di più di 22 milioni di notti riservate. Il numero di strutture, inoltre, è stato tendenzialmente in aumento, se si escludono il 2020 e il 2021 in cui gli alloggi offerti decrescono a causa delle numerose misure restrittive negli spostamenti connesse alla crisi sanitaria: infatti, sulla base dei dati forniti da Airbnb, nel 2023 le abitazioni destinate ad affitti brevi erano oltre 600mila.
Al contrario, la domanda di posti letto ha ripreso la sua crescita immediatamente dopo l’emergenza pandemica, tanto che nel 2021 si osserva un forte incremento del numero di notti prenotate (+19%), che ha determinato, a sua volta, la crescita sia dei ricavi (+42% rispetto al 2020) che del tasso di occupazione. Tra i fattori che hanno influito positivamente sui ricavi si rileva anche l’aumento del costo medio per notte, che, proprio nel 2021 assume il valore più elevato degli ultimi cinque anni (131 euro).
Interessante, infine, guardare anche alla distribuzione territoriale del fenomeno (Fig. 2). Dati pubblicati dal quotidiano Il Sole 24 ore e relativi al 2018, che stimano i posti letto offerti sulla piattaforma ogni 100 abitanti, indicano un valore medio nazionale pari a quasi due posti letto (1,98) ogni 100 residenti. Le zone colorate di blu sono quelle con tasso di penetrazione di Airbnb inferiore alla media nazionale, mentre quelle colorate in arancio hanno un tasso superiore. Come si può osservare, la Toscana è una delle regioni più interessate dal fenomeno, cui si affiancano alcune aree dell’arco alpino e gran parte delle zone costiere.
Come già anticipato, il presente studio misura empiricamente l’impatto che la diffusione dell’offerta di Airbnb ha avuto sul mercato immobiliare. Per raggiungere questo obiettivo, sono state impiegate due diverse fonti di dati.
In primo luogo, quelli relativi all’andamento dei prezzi di vendita degli immobili residenziali, acquisiti da “Idealista.it”, una piattaforma che rispetto ad altre fonti offre una maggiore profondità storica e una granularità spaziale dettagliata, che ci ha consentito di stimare i prezzi medi di vendita nelle città italiane a livello di quartiere.
In secondo luogo, i dati relativi alle presenze degli annunci Airbnb sul territorio, per i quali è stata impiegata la fonte “Inside Airbnb”, che fornisce uno scraping geo-referenziato delle proposte di alloggio disponibili sul sito. Questa risorsa permette di usufruire non solo di informazioni legate alla distribuzione geografica delle inserzioni, ma anche di avere a disposizione dati approfonditi sulle caratteristiche specifiche di ciascun annuncio.
Tra queste, per esempio, i dati relativi alla tipologia di alloggio (stanza o intero appartamento), alla data della prima recensione – che può essere utilizzata come proxy per ricavare l’ingresso effettivo del singolo annuncio nel mercato – e una serie di informazioni sull’host, come il numero di annunci gestiti, il codice della licenza o lo status di superhost.
A partire da queste informazioni è stato dunque costruito un dataset di tipo panel per le dieci città già elencate, accomunate da un’elevata attrattività turistica e da una significativa diffusione del fenomeno degli affitti a breve termine. In particolare, il dataset copre il periodo dal 2012 al 2022, il livello di osservazione è il quartiere e le città prese in esame sono quelle riportate in Figura 3.
2.1 Le strutture Airbnb nelle città oggetto di studio
I dati forniti da “Inside Airbnb” permettono, tramite l’analisi della data della prima recensione associata a ciascun annuncio, di determinare il momento in cui ogni inserzione è stata inserita nel mercato. Ciò consente dunque di andare oltre la semplice fotografia dell’attuale situazione nelle città oggetto di studio e di ricostruire l’evoluzione temporale del fenomeno, fornendo così un quadro informativo più completo. Ad oggi, nelle città analizzate sono presenti poco più di 108mila strutture destinate ad affitti brevi, pari a circa il 20% del totale nazionale. La distribuzione delle strutture fra le città osservate è chiaramente
influenzata dalla loro dimensione demografica e dal grado di turisticità: le quote maggiori spettano alle due città più grandi (Roma e Milano), mentre tra le medio-piccole spiccano i due forti attrattori turistici di Firenze e Venezia. In generale poi al Centro-Nord il fenomeno Airbnb è più presente che a Sud, in cui lo sviluppo è più recente (Tab. 4).
Nel complesso, il totale delle strutture Airbnb nelle diverse città genera un fatturato medio (colonna D) che varia sia in funzione del prezzo dell’alloggio (colonna C) che del tasso di occupazione (colonna E). Proprio a causa di alti prezzi e di alti tassi di occupazione, a Roma, a Venezia e a Firenze le entrate per struttura sono mediamente più alte e vicine a 40mila euro annui. Al contrario, a Lecce e a Palermo, entrambe caratterizzate da un tasso di occupazione più basso a causa della maggiore stagionalità turistica e da prezzi più contenuti, il fatturato è inferiore alla metà di quello di Roma e compreso tra 14 e 17mila.
Le differenze tra città emergono anche guardando ai trend evolutivi in termini di strutture offerte. In particolare, osservando le nuove strutture aperte nel corso del 2014 e del 2022 (Fig. 5), si nota chiaramente come l’incremento assoluto, pur riguardando tutte le città, sia molto differenziato: più basso nei centri minori dove il numero di strutture è inferiore, più alto nelle metropoli di Roma e Milano, dove invece il livello è estremamente più elevato, intermedio in alcune delle più importanti città turistiche, come Venezia e Firenze.
Altro elemento distintivo è la distribuzione territoriale delle strutture all’interno delle singole città. In generale, le strutture tendono a concentrarsi nel centro storico, in cui insistono di solito i principali monumenti di interesse turistico.
Tuttavia, specialmente per le città di maggiore dimensione, che attirano visit
atori anche per motivi di tipo professionale (turismo di affari e/o di studio e formazione) possono emergere anche altre parti della città in cui l’offerta di alloggi si concentra per motivi legati alla localizzazione di alcune strutture (imprese, sale congressi, poli fieristici, sedi universitarie, centri di formazione, ecc.), dei principali snodi del trasporto pubblico (stazioni di treni, tram e metro) o di locali per il tempo libero.
Questa diversa distribuzione è ben rappresentata dai casi di Firenze e Milano, in cui la prima città presenta una forte concentrazione degli alloggi Airbnb nel centro storico, come accade tipicamente per le città d’arte, mentre la seconda presenta una distribuzione più diffusa, tipica delle città più grandi che attirano visitatori per una pluralità di ragioni (Figg. 6 e 7).
Fonte: IRPET