Replay, nata nel 1981 ad Asolo, unisce tradizione e innovazione nel denim. Punta su sostenibilità, durabilità e processi avanzati per ridurre l’impatto ambientale. Ne abbiamo parlato con il suo vicepresidente esecutivo Marco Sinigaglia
Replay è nata ad Asolo nel 1981 da un’idea di Claudio Buziol. Fin da subito, l’azienda veneta ha fatto del connubio di tradizione e innovazione uno dei suoi punti di forza. Da sempre, infatti, si contraddistingue per l’innovativa ricerca stilistica, il design tipicamente italiano e la qualità superiore del prodotto. Come racconta Marco Sinigaglia, vicepresidente esecutivo di Fashion Box Replay, il know-how acquisito nella lavorazione del denim rappresenta un patrimonio unico e distintivo.
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Come si continua a fare innovazione su un tessuto e su un capo d’abbigliamento come il jeans, che incarna la tradizione?
«Il punto di forza di questa azienda è sempre stata la capacità di innovare e aggiornare, a volte seguendo le tendenze, a volte riuscendo ad anticiparle e dettarle. Attualmente lavoriamo in due direzioni: sui materiali e sui processi. Questi sono i due pilastri nei quali l’azienda sta investendo significativamente. Il percorso rimane lo stesso delle origini: prendiamo un tessuto grezzo e lo lavoriamo in origine.
Negli anni Ottanta c’era una minore sensibilità per tematiche come la sostenibilità e i trattamenti avevano un impatto ambientale più marcato. Negli ultimi due decenni, abbiamo avviato una collaborazione con i nostri fornitori in modo da creare una catena che metta al centro la questione della sostenibilità. Il nostro obiettivo è realizzare prodotti belli, che piacciano ai consumatori e che rispettino l’ambiente».
Come declina il concetto di sostenibilità Replay?
«Sostenibile è il processo che permette una riduzione nell’utilizzo di agenti chimici, come le lavorazioni che consumano meno acqua e meno energia. Ma per noi, sostenibile è anche un altro tipo di approccio: la direzione strategica dell’azienda è quella di creare, soprattutto nell’ambito del denim, dei prodotti che possono durare nel tempo. Ladurability è l’antitesi del fast fashion. Di fronte a una moda veloce, che ha inevitabilmente portato a un calo nella qualità, abbiamo deciso, non solo di mantenere, ma anche di migliorare i nostri standard qualitativi.
Abbiamo investito nella ricerca collaborando con i nostri fornitori per allungare il ciclo di vita dei nostri prodotti. Quindi, sostenibilità per noi vuol dire anche un capo che viene indossato non solo per una stagione, ma per più anni. Per me il denim con il tempo migliora, un po’ come il vino. Perché questo sia possibile devi avere un prodotto che lavaggio dopo lavaggio mantiene le proprie qualità».
Per quanto riguarda le innovazioni di processo, come siete intervenuti?
«L’innovazione nei macchinari e nelle sostanze chimiche ci ha permesso di fare ricerca per riuscire a ridurre al minimo il nostro impatto. Abbiamo introdotto la tecnologia Laserblast per ottenere l’effetto used riducendo le quantità di acqua, energia e agenti chimici necessari. Con il trattamento Zero Water abbiamo ulteriormente ridotto l’impiego di acqua nei nostri processi, fino al 90 per cento. Attraverso l’Hyperflex Clouds riusciamo a fissare i colori con una sorta di vapore ad alta temperatura, che ci ha permesso di ridurre l’utilizzo di sostanze chimiche dannose.
Questo è stato possibile anche grazie al territorio in cui ci troviamo, cioè il Denim District, dove c’è una vocazione per il prodotto e si è accumulata una grande esperienza in tutta la filiera. Quindi, questo lavoro di innovazione, mirato ad aumentare la sostenibilità del prodotto, non lo facciamo da soli, anche i fornitori si impegnano per ottenere un risultato sempre migliore».
In quest’ottica collaborativa, cosa significa essere parte della Sustainable Apparel Coalition?
«Prima questo approccio non era strutturato, con l’entrata in SAC, oggi Cascale, siamo entrati in un sistema organizzato, dove abbiamo trovato delle linee guida da seguire e più di 300 partner con cui condividere un percorso. I membri presenti coprono l’intera filiera del mondo fashion, dai produttori ai retailer, in questa catena ogni anello porta il suo expertise e riusciamo ad avere un approccio strutturato al tema sostenibilità.
È fondamentale lavorare assieme, seguendo percorsi mirati alla sostenibilità. È inutile darsi obiettivi ambiziosi ma irrealizzabili in tempi brevi, bisogna lavorare su obiettivi concreti, con step credibili, lavorando su piccoli traguardi da raggiungere anno dopo anno, le aziende al fianco delle istituzioni. Il settore manifatturiero, negli ultimi vent’anni ha fatto molto in questa direzione: ogni obiettivo non rappresenta la fine del percorso, bensì il punto da cui partire per fare un nuovo passo. È proprio in quest’ottica che ci siamo associati a Cascale».
Pur essendo un’azienda internazionale, Replay ha mantenuto la testa e il cuore ad Asolo: cosa rappresenta questa scelta?
«L’Italia è il Paese dei distretti e si tratta di un modello molto efficace, perché permette un significativo accumulo di competenza in un determinato territorio. Nel Denim District, abbiamo la fortuna di avere in azienda persone che lavorano sul territorio, all’interno della filiera, da molti anni, e portano la loro competenza cresciuta e maturata nel tempo. Ecco perché diamo molta importanza alle persone, vogliamo che si sentano parte dell’azienda, che provino un senso di appartenenza nei confronti del brand. E credo che questo sia uno dei punti di forza del made in Italy».
Proprio nell’ottica di guardare avanti e “disegnare il futuro”, che ruolo può rivestire il made in Italy?
«Il made in Italy non è un concetto statico, il made in Italy è un concetto che deve essere pensato in maniera dinamica. Oggi, in diversi settori, è sinonimo di qualità e di innovazione. Ed è da qui che dobbiamo partire: come si fa a mantenere alta la percezione del valore del made in Italy? L’elemento fondamentale è la formazione. Non si tratta solo di fare reshoring, è ormai assodato che ci sono Paesi che nella manifattura hanno costi più bassi, però non sono in grado di realizzare un certo tipo di prodotto.
Noi, come Fashion Box Replay, non abbiamo una produzione sul territorio, ma qui ideiamo il prodotto, facciamo ricerca e innoviamo, cerchiamo i materiali, sperimentiamo i trattamenti. Poi come manifattura lavoriamo in tutto il mondo. Quindi il concetto di made in Italy non è declinato in una manifattura pura, ma nell’innovazione del prodotto, nella ricerca dei materiali, nello stile. Per fare questo, servono persone che abbiano le giuste competenze, che vengano formate adeguatamente».
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