Nespresso: questione gender, inclusività, integrazione e sostenibilità. Tutto in un manifesto che traccia la strada in azienda (e fuori) sulla base di valori condivisi
Inclusione e integrazione sono valori che anche in azienda producono effetti a catena. In Nespresso, società del gruppo svizzero Nestlè, la traccia di una strada – antesignana di un intero processo di cambiamento globale – ora risulta essere più attuale che mai, oltre che già rodata.
Sulla questione gender, in azienda si vanta un buon 67 per cento di dipendenti donna. E comunque, il senso dell’empowerment femminile qui lascia il posto al criterio di valorizzazione della leadership o del proprio talento sempre in senso trasversale, senza sfumature di genere.
Una sottile attenzione che comincia dal linguaggio adottato nella comunicazione interna (con schwa o asterischi) e che guarda al cambiamento, o ancora partendo da soluzioni come il congedo parentale – retribuito al 100 per cento – di tre mesi anche al papà o alle seconde mamme (caregiver 2) perché si osservano e valutano l’incidenza e il beneficio della condivisione degli incarichi familiari.
Proprio entro i primi sei mesi dalla nascita (o dall’adozione dei figli) tali scelte risultano persino vantaggiose, capaci di maggior equilibrio anche nel lungo periodo e per entrambi i genitori. Tutto è parte di un cammino che a priori – e non solo in azienda – richiama a un nuovo mindset culturale.
Non è un caso se è la prima azienda del caffè in Italia ad aver ottenuto la certificazione secondo lo standard internazionale UNI/PdR 125:2022 al termine di un percorso di valutazione condotto da Bureau Veritas che ha analizzato sei macroaree chiave per il raggiungimento della certificazione: cultura e strategia, governance, processi del personale (HR), opportunità di crescita in azienda neutrali per genere, equità remunerativa per genere, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.
Ma in proposito, su temi di inclusività e integrazione in senso generale, si è partiti da lontano. In primis, dalla consapevolezza aziendale. Con un sondaggio interno si è visto che la percezione sulla sola questione gender (90 per cento) si scontrava con l’effettiva conoscenza dell’argomento (25 per cento degli intervistati), un gap che era necessario colmare, dunque, già nel microcosmo degli uffici del gruppo. Il resto poi, è seguito a ruota.

«Ci sono aziende, ad esempio, in cui il congedo parentale è presente da molto più tempo, anche da 10 anni – ci dice Simona Liguoro, responsabile delle risorse umane Nespresso Italia – ma solo l’8-9 per cento delle persone la sceglie. Noi, da solo 3 anni abbiamo quest’opzione in azienda, ma è stata chiesta finora dal 100 per cento dei dipendenti che ne avevano facoltà.
La cosa bella è che per tutti i papà è stato normale chiederla. Poi, in circa 3 anni, siamo passati ad avere il 50 per cento di donne a tutti i livelli aziendali, non ci sono differenze salariali tra i due sessi in pari posizioni ma, soprattutto, abbiamo adottato come criterio di selezione dei nostri fornitori “quanto” siano vicini alle nostre politiche, preferendo coloro che sui temi inclusivi sono più affini ai principi del nostro manifesto».
Anche la scelta di rifiutarsi di partecipare a panel esterni a prevalenza maschile o di soli uomini, ad esempio (o proponendo, nel caso, di collaborare con gli organizzatori per equilibrare le presenze con voci femminili) in Nespresso permette di contagiare in tal senso anche altre realtà, innescando meccanismi – come per la baby leave – che cominciano a propagarsi solo ora.
Un altro impegno? Quello che ha portato al premio di UNHCR lo scorso anno: il progetto Nemo. Rifugiati o richiedenti asilo politico sono assunti periodicamente nelle boutique del brand per essere formati e portati a un’interazione professionale che parte dal contesto dell’esperienza di vendita, ma arriva a dimostrare anche sul campo quell’opportunità di scambio e integrazione tra culture diverse.
Un passaggio chiave nel progetto di diffusione di un modello cultural-aziendale, oltre che garante di valori reciprocamente condivisi. C’è una scelta di coerenza nell’applicare modelli produttivi dove valori umani da tutelare e risorse da garantire devono andare di pari passo.
Come insegna anche il progetto Da Chicco a Chicco, frutto di un percorso virtuoso di Nespresso che parte dal riciclo delle capsule di alluminio (paradossalmente non considerate imballaggio in Europa e altrimenti destinate all’indifferenziato) per recuperare poi anche il caffè, come compost fertilizzante utile per la coltivazione del riso che viene acquistato dal brand e devoluto ai banchi alimentari di Lombardia, ma anche Lazio, Piemonte e Puglia.
Dopo 13 anni di attività, il progetto è stato affinato: isole ecologiche convenzionate e 150 punti di raccolta in oltre 80 città italiane garantiscono la capillarità di un circuito costruito da Nespresso per la riconsegna delle proprie capsule per la raccolta e lo smaltimento, anche grazie a un protocollo sottoscritto con CIAL (Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio), Utilitalia (Federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici per l’ambiente) e C.I.C (Consorzio Italiano Compostatori).
«Tale progetto – secondo Silvia Totaro, Sustainability & Safety Health Environmental Manager Nespresso Italia – è molto importante per noi perché molto tangibile, ci dà modo di vedere come il caffè possa generare un impatto positivo, non solo sull’ambiente ma anche sulla comunità».

Parliamo, infatti, di 10mila tonnellate di capsule raccolte, dal 2011 ai primi mesi 2023, pari a 600 tonnellate di alluminio e 5200 tonnellate di caffè recuperati. «Solo in Lombardia – rivela Todaro – sono state raccolte 700 tonnellate di capsule lo scorso anno, è una regione virtuosissima e vediamo una grande risposta».
L’obiettivo per il futuro è quello di ampliare ulteriormente il bacino e la capillarità di raccolta e raggiungere così al termine del processo qualcosa come un milione di piatti di riso. Uno sforzo anche economico, già in conto nei piani di Nespresso, pari a quasi 8,5 milioni di euro spesi in questi anni su più azioni legate all’ambiente, per introdurre e sviluppare processi innovativi a favore di nuove scelte condivise con i propri clienti, tutti sul valore fondante della sostenibilità.
E questo sin dalla coltivazione del caffè nei paesi d’origine, fino ad arrivare al riciclo delle capsule. In sostanza, la cura a 360 gradi di persone e ambiente. Dal 2017, però, c’è un ulteriore impegno, sulle parti di alluminio più piccolo e leggero e che riguarda la Regione Lombardia.
Tra Lecco, Como, Monza e Brianza e alcune aree metropolitane di Milano, per un totale di 150 comuni (pari cioè a un bacino di 1 milione di cittadini circa) su cui vige la raccolta differenziata di SILEA in collaborazione con il CIAL, la scommessa e l’impegno di Nespresso si sta misurando sulla raccolta delle capsule che da queste aree confluisce in un impianto nel Bresciano, capace di ottimizzare e recuperare le parti in alluminio più piccole e leggere nella raccolta del multimateriale.
Grazie a tecnologie specifiche magnetiche, in 5 anni si sono recuperate 280 tonnellate. L’obiettivo, dunque, è quello di ampliare l’uso di tali processi anche in altre aree di Italia. E nel 2021, questo percorso ha avuto anche una svolta importante: l’azienda, insieme a Illy e Starbucks, ha creato l’Alleanza per il riciclo, ovvero la possibilità di recuperare nelle boutique del marchio svizzero anche le capsule dei concorrenti nel nome del riciclo responsabile.
Un’alleanza ormai rodata da Nespresso – quale capofila per il sistema e il protocollo ideato e poi attuato – che resta aperta anche ad altri produttori del settore come a realtà di smaltimento.
Lo step conseguente a questa direzione è stato in azienda la scelta di diventare BiCorp e poi Società Benefit, la prima nel e l’altra conclusa ad aprile dello scorso anno, un passo che riprende le linee guida dei quattro processi aziendali messi a regime: il modello di economia circolare (con i progetti di riciclo), l’inclusione, la creazione di un impatto sociale positivo – dal banco alimentare a Le città che respirano (che ripristina le biodiversità, in collaborazione con il programma Mosaico di Legambiente) – e la promozione di stili di vita consapevoli.
E non finisce qui. «Il nostro status ci obbliga ogni anno a migliorare il nostro impatto – conclude Totaro – è un lavoro continuo».