Confassociazioni, fare rete per innovare

Creare sinergie è vitale per favorire lo sviluppo delle comunità economiche. Il punto di vista di Angelo Deiana, presidente di Confassociazioni

Confassociazioni, Confederazione delle associazioni professionali, è il soggetto di rappresentanza unitaria delle federazioni, dei coordinamenti, delle associazioni, delle imprese e dei professionisti che esercitano attività professionali “non organizzate in ordini e collegi”, in Italia e in Europa.


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Nata nel luglio 2013, raggruppa organizzazioni professionali che riuniscono oltre 820mila professionisti e 149mila imprese. Alla guida di Confassociazioni c’è Angelo Deiana, uno dei maggiori esperti di servizi finanziari e professionali in Italia, oltre che top manager di primari gruppi bancari nazionali e internazionali e docente universitario.

Attualmente è presidente di ANCP (Associazione Nazionale Consulenti Patrimoniali) e ANPIB (Associazione Nazionale Private & Investment Bankers) e vicepresidente di Auxilia Finance SpA.

Inoltre, è docente di Finanza strutturata e di progetto al corso di laurea magistrale della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Parma e docente di Finanza e Venture Capital alla Facoltà di Economia dell’Università Mercatorum.

Presidente, qual è il contributo di Confassociazioni nel promuovere la condivisione dei saperi?

«Confassociazioni è un modello a piattaforma, costruito con un’architettura aperta: la stessa di cui sono dotati i soggetti vincenti sul mercato globale. In questo momento, i business verticali possono funzionare, ma hanno delle limitazioni importanti in termini strategici.

Non è un caso che le società più capitalizzate del mondo, come Meta, Alphabet, Tesla, Microsoft o NVIDIA, per citarne alcune, siano tutte piattaforme. Anche le grandi case automobilistiche o altri soggetti ad alta intensità manifatturiera non possono fare a meno di adottare un’architettura aperta a piattaforma.

Il motivo è molto semplice: siamo immersi in una data driven economy, in base alla quale se non si hanno i dati non si può essere competitivi. Confassociazioni da questo punto di vista ha tre caratteristiche principali. È una grande business community, che può contare su 760 organizzazioni di manager, imprese, professionisti e su un milione e 270mila iscritti.

La sua mission consiste nel facilitare, in termini di network, di supporto e di piattaforma, l’interazione tra tutti questi soggetti. Inoltre, fa rappresentanza nel settore dei servizi professionali, limitandosi ai grandi temi e senza togliere spazio alle associazioni sottostanti.

I temi principali sono fisco, previdenza, sviluppo, tecnologia, pari opportunità, diritti. Infine, facciamo “rappresentanza for profit”: prendiamo le idee e i progetti dei nostri associati e li portiamo, grazie alla nostra massa critica, sul mercato e nelle istituzioni, in modo da creare ulteriori opportunità di sviluppo.

I risultati raggiunti in termini quantitativi e qualitativi sono importanti e saranno celebrati il 5 luglio del 2024 con la consegna dei Confassociazioni Awards a personalità di livello altissimo. L’evento rientra nei festeggiamenti per il decennale di Confassociazioni, che si sono aperte il 5 luglio del 2023».

Quali sono le sue considerazioni sull’ecosistema dell’innovazione italiano?

«Una delle limitazioni principali al pieno sviluppo economico e industriale dell’Italia sta nella dimensione media delle imprese: il 98 per cento delle aziende italiane (4 milioni e mezzo secondo dati Istat del 2022) ha meno di 19 dipendenti e il 95 per cento ha meno di dieci dipendenti.

Inoltre, fanno impresa solo con il 17 per cento di capitali propri, contro il 40 per cento delle imprese europee e il 70 per cento di quelle anglosassoni. Mediamente si tratta di aziende sottocapitalizzate e sottopatrimonializzate, che non riescono a investire in maniera massiccia in nuove tecnologie.

Le piccole dimensioni delle imprese non permettono loro di assumere un Chief Financial Officer o un Chief Technology Officer. È difficile ricevere un forte impatto dalle nuove tecnologie se le imprese non fanno rete, non si aggregano o non costituiscono delle cooperative.

I programmi di incentivazione come il Piano Industria 4.0 sono importanti, ma in questo caso si tratta di un piano pensato sul modello tedesco e che si riferisce a uno spazio temporale precedente (2013 contro 2016), oltre a puntare troppo sui macchinari tramite un investimento tecnologico basato sul credito d’imposta e sul super ammortamento.

Tuttavia, per le imprese di piccole dimensioni, il problema non sono tanto i macchinari, quanto il software. Nel 2023, per fortuna, la Sabatini bis ha fatto ruotare il focus dei provvedimenti incentrati sui macchinari, prevedendo che tra i beni agevolati possano esserci anche software e tecnologie digitali.

Anche il ricambio generazionale è un aspetto da considerare nell’evoluzione attuale delle imprese: dati della Banca d’Italia ci dicono che il 68 per cento delle nostre imprese è guidato da persone con un’età media avanzata.

Per quanto evoluti, per quanto direttori commerciali straordinari – abbiamo esportato il 30 per cento del Pil nel 2023 – è anche vero che l’impatto della tecnologia su questa generazione è sicuramente minore rispetto all’impatto che ha sulle generazioni più giovani.

L’idea è di costituire un fondo dedicato al passaggio generazionale, raccogliendo le risorse da investitori istituzionali o professionali. Un pezzo di questo lavoro lo stiamo già facendo: l’attuale governo sta infatti costituendo un fondo sovrano destinato alle produzioni di eccellenza del made in Italy. Resta fermo il fatto che risorse specifiche dovrebbe essere investite sul Dna delle nostre imprese».

Cosa sarebbe necessario fare sul fronte della formazione?

«Investire sugli ITS, sulle Università o sul Liceo del Made in Italy, non basta. Il problema è che queste entità non fanno rete e ogni università è in competizione con le altre e con gli stessi ITS. Siamo indietro anche sull’orientamento. I diciottenni che hanno intrapreso un percorso formativo non hanno idea di cosa li aspetti.

Non possono conoscere quali saranno i possibili sbocchi lavorativi, a causa della velocità del cambiamento attuale, ma almeno potrebbero essere aiutati a comprendere gli orizzonti di sviluppo dei diversi scenari. La funzione di fare rete tra tutti questi soggetti sarebbe altamente importante, proprio per orientare gli studenti a fare delle scelte consapevoli.

Ognuno può scegliere quello che vuole, l’importante sarebbe guardare al medio-lungo periodo e tenere conto della grande variabilità degli scenari economici, anche alla luce del contesto geopolitico. Al contrario, quello che viene seguito oggi da tutti gli attori – dai governi alle imprese, dagli studenti alle accademie – è il breve periodo.

Altro tema da affrontare è quello della Bonus Economy, che distorce il mercato e deve essere attenuata: non è possibile sussidiare in maniera continuativa le industrie, siano esse del settore primario o secondario. Lo Stato, come si legge nei manuali di economia, dovrebbe intervenire quando il mercato non riesce a sostenere funzioni strategiche.

Lo abbiamo visto con il Quantitative Easing: masse monetarie immesse dalle banche centrali potevano essere utili nel breve periodo, ma ragionate su dieci anni hanno drogato tutti gli investimenti e hanno generato profonde disuguaglianze.

Lo testimoniano rapporti di associazioni come Oxfam: dal 2020, l’1 per cento più ricco si è accaparrato quasi il doppio dell’incremento della ricchezza netta globale rispetto alla quota andata al restante 99 per cento della popolazione mondiale».  

 

ITALIA ECONOMY - Confassociazioni, fare rete per innovare
Angelo Deiana

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Giulia Baglini
Giulia Baglini, giornalista.

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