Startup Act 2.0: il futuro dell’innovazione

Giorgio Ciron, direttore di InnovUp: «Lo Startup Act 2.0 è lo strumento necessario per la crescita dell’ecosistema innovazione»

Per disegnare il futuro del Paese ci sono due tasselli fondamentali, che viaggiano a braccetto: innovazione e start up. Affrontare le sfide della filiera innovativa e puntare alla costruzione di una Start up Nation italiana è la mission di InnovUp, l’associazione no profit e super partes che rappresenta e unisce la filiera dell’innovazione italiana.


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Con Giorgio Ciron, direttore di InnovUp, cerchiamo di capire a che punto ci troviamo e quali sono le prospettive per il futuro.

Qual è lo stato di salute dell’ecosistema italiano dell’innovazione?

«Nel 2023 si è registrata una netta frenata negli investimenti. Eravamo sopra i due miliardi nel 2022, siamo arrivati a poco più di un miliardo e 100 milioni lo scorso anno. Un dato non solo italiano e a cui ha contribuito indubbiamente il rialzo dei tassi di interesse.

C’è stata una contrazione, ma il dato non è così negativo: innanzitutto il 2023 è il terzo anno in cui si supera il miliardo di investimenti e le prime indicazioni del 2024 danno segnali incoraggianti, per sperare in un consolidamento.

Inoltre, c’è stata una crescita, sia in termini di numero che di ammontare medio, dei round seed e pre-seed, quegli investimenti early stage che servono alle start up per iniziare e questo è un altro dato importante.

Al contempo, sul dato del 2023, rispetto all’anno precedente, ha influito il crollo dei grossi round. Infine, un ultimo punto fondamentale per l’ecosistema innovazione italiano è la capacità di attrarre capitali stranieri e sostenere i second time founders, coloro che hanno avuto successo con una start up, in Italia o all’estero, e tornano nel nostro Paese o reinvestono le risorse guadagnate in nuove iniziative imprenditoriali».

Dal recente report su incubatori e acceleratori emergono dati incoraggianti. Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?

«Sono aumentati il fatturato e gli occupati globali e questo è positivo. Ci aspettiamo che il dato sia confermato nel 2024. Intanto, si sta avviando un fenomeno di concentrazione nel settore, come conferma la fusione tra Digital Magics e Lventure Group da cui è nata Zest.

Ed è quello di cui avremmo bisogno: tra acceleratori e incubatori, in Italia sono più di 200 e sono anche troppi. Sarebbe auspicabile avere meno soggetti, ma più concentrati ed efficaci».

Come si può incentivare questo processo?

«Ad esempio, attraverso lo Startup Act 2.0, a cui stiamo lavorando, e che ci auguriamo possa introdurre incentivi e regole per un ulteriore sviluppo dell’ecosistema. Si sta lavorando a una ridefinizione dei soggetti perché non abbiamo più solo incubatori che operano nel settore, ma anche acceleratori, start up studio, ed è importante fornire incentivi efficaci e benefici effettivi per i soggetti certificati.

 Inoltre, gioca un ruolo importante CDP Venture Capital, che ha appena presentato il nuovo piano industriale, in cui la tendenza è la verticalizzazione su sette pilastri strategici per il Sistema Paese, che spaziano da IA a space tech, dall’healthcare all’agrifood tech. Questa tendenza comporta un accentramento delle risorse su attività più focalizzate».

 Parlava dello Startup Act 2.0: cosa dobbiamo aspettarci?

«Ci abbiamo lavorato con diversi soggetti, noi abbiamo fatto alcune proposte strategiche al Ministero delle imprese e del made in Italy, poi vedremo cosa si potrà realizzare, tenendo conto anche delle coperture economiche.

Saranno previsti incentivi per attrarre capitali dai fondi pensione delle casse di previdenza, per cercare di coinvolgere investitori istituzionali che fino ad oggi hanno mostrato di dare poco spazio ai venture capital nelle loro strategie. È fondamentale per mobilizzare capitali a sostegno dell’innovazione.

Ci saranno misure dedicate a fornire incentivi fiscali sugli investimenti da parte di persone fisiche, con un migliore coordinamento tra le detrazioni attualmente in vigore del 30 e del 50 per cento. Chiediamo, inoltre, che siano introdotte delle deduzioni anche sulle perdite, come avviene in Inghilterra con l’EIS Scheme e che i già menzionati incentivi fiscali non vengano meno in caso di fallimento della start up.

Inoltre, abbiamo lavorato sull’introduzione di incentivi per attrarre talenti dall’estero e per istituire, come in Francia, il reddito di imprenditorialità, un cuscinetto che aiuti chi decide di fare impresa nella transizione da un lavoro dipendente a quello dell’imprenditore. E ancora, crediamo sia essenziale favorire investimenti delle Corporate in start up, come forma di ricerca e sviluppo esternalizzata».

Partendo da questi presupposti, che visione possiamo avere per il futuro dell’ecosistema dell’innovazione italiano?

«Siamo ottimisti, chi fa start up deve esserlo. C’è molto lavoro da fare, abbiamo un gap significativo da colmare con Paesi come la Francia, dove l’investimento pro-capite è 10 volte tanto rispetto al nostro, o la Germania, dove è sette volte tanto.

Loro hanno iniziato prima, hanno una decina d’anni di vantaggio, ma è un gap che si può e si deve recuperare. Lo Startup Act 2.0 e il Piano Industriale di CDP Venture Capital sono passi importanti in questa direzione».

ITALIA ECONOMY -Startup Act 2.0: il futuro dell’innovazione

 

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