Trasformare le idee in impresa: la visione di Valentina Iannucci

WDA raccontata dalla GM Iannucci: con 3 venture, 3M€ raccolti e +60 start up affiancate, l’impresa supporta PMI e corporate nell’evoluzione aziendale

Nel panorama italiano dell’innovazione e della trasformazione aziendale, WDA si è affermata come partner operativo capace di affiancare le piccole e medie imprese e corporate in percorsi concreti di evoluzione. Ne parliamo con Valentina Iannucci, generale manager della società.

WDA si presenta come un partner operativo che trasforma l’innovazione in risultati concreti. Qual è il vostro approccio e in che modo vi distinguete dalle tradizionali società di consulenza?

«Nasciamo come Venture Builder, letteralmente “costruttori di imprese”: il nostro ruolo è quello di ideare, sviluppare e avviare nuovi progetti al fianco di professionisti e imprenditori, mettendo a disposizione il nostro know-how e la nostra esperienza nel settore. A differenza di altri operatori, diventiamo parte integrante del team del cliente, colmando eventuali gap di competenze in aree specifiche e sviluppando nuove progettualità.

Spesso i clienti con cui lavoriamo non hanno sufficienti risorse e tempo per lanciare nuove linee di business o testare intuizioni di mercato. È proprio in questi casi che il nostro approccio si distingue dalla consulenza tradizionale: non ci limitiamo a suggerire strategie, ma ci integriamo nel team del cliente come un’unità operativa dedicata, validando e sviluppando nuove idee imprenditoriali come se fossero le nostre».

Quanto incide oggi, nella riprogettazione dei modelli di business, la necessità di adottare formule “as a service”? È il mercato a guidare questo cambiamento e allontanamento da logiche tradizionali?

ITALIA ECONOMY -
Valentina Iannucci, GM WDA

«Il modello “as a service” non è più solo una questione tecnologica o infrastrutturale: sta riscrivendo le regole del gioco anche nei servizi manageriali e consulenziali.

Sempre più aziende cercano risposte rapide, flessibili e orientate all’esecuzione, soprattutto in fasi in cui è necessario testare nuove direzioni strategiche o accelerare iniziative interne. Le imprese, oggi, non si accontentano più di report e slide: vogliono alleati operativi, capaci di agire subito, di integrarsi nei team e di portare risultati tangibili. Il modello tradizionale di consulenza, spesso distante e prescrittivo, fatica a tenere il passo con queste esigenze».

Il modello CXO on Demand, con l’inserimento operativo di figure manageriali, è una proposta ancora poco diffusa in Italia. Quali benefici riscontrano le aziende che applicano questa formula per affrontare momenti di trasformazione, crescita o complessità organizzativa?

«Il modello CXO on Demand offre alle aziende un’opportunità concreta di accelerare decisioni e risultati in fasi critiche, senza dover affrontare la complessità e i tempi lunghi di una selezione permanente o di una consulenza esterna tradizionale. L’inserimento operativo di figure manageriali esterne consente di agire con tempestività e precisione, evitando le rigidità dei percorsi di inserimento classici. Le aziende che adottano questa formula riscontrano benefici concreti sia in termini di velocità decisionale che di capacità esecutiva.

Le figure inserite portano con sé esperienze trasversali e visione strategica, ma soprattutto si mettono al servizio del progetto con un approccio concreto, contribuendo in modo diretto alla realizzazione degli obiettivi. Un ulteriore vantaggio è la flessibilità: il modello si adatta a contesti molto diversi tra loro, come l’ingresso in nuovi mercati, l’implementazione di un piano di crescita, la revisione della struttura organizzativa o l’avvio di una nuova funzione. In molti casi, questa modalità genera anche un impatto positivo sul team interno, favorendo un’evoluzione culturale e organizzativa che permane anche dopo la fine dell’intervento».

Call4startup, scouting tecnologico, collaborazione con start up: quali sono i fattori critici di successo perché queste iniziative non restino solo “vetrina”?

«Per molte aziende che hanno già una base solida, ma vogliono restare competitive e aprirsi all’innovazione, iniziative come lo scouting tecnologico e la collaborazione con start up rappresentano un’occasione reale per accedere a soluzioni avanzate e costruire partnership strategiche industriali o commerciali. Affinché questi programmi producano valore, servono almeno un paio di condizioni fondamentali. Prima di tutto: un obiettivo chiaro e concreto.

La collaborazione funziona quando è costruita su sfide ben definite e su ambiti in cui l’azienda ha davvero interesse a innovare − che si tratti di processo, prodotto o modello operativo. In assenza di una direzione precisa, anche le migliori start up rischiano di essere percepite come idee senza continuità. In secondo luogo, è fondamentale vedere la start up come un alleato, non come un fornitore.

Questo cambia tutto: cambiano il linguaggio, il modo di lavorare e le aspettative reciproche. Per questo aiutiamo i nostri clienti non solo a selezionare le realtà giuste, ma soprattutto a metterle nelle condizioni di lavorare insieme in modo efficace. Il valore nasce quando c’è collaborazione vera, con obiettivi condivisi e un percorso operativo chiaro».

In Italia, circa 70mila imprese italiane su 200mila − circa il 30-35 per cento è attualmente coinvolto in un passaggio generazionale o lo sarà entro i prossimi 5 anni. Quali errori vede ripetersi più spesso in questi contesti?

«Il passaggio generazionale è uno di quei momenti che può far evolvere un’azienda o bloccarla per anni. Un errore ricorrente è l’assenza di un vero percorso di affiancamento, pensato non come una transizione simbolica, ma come una fase operativa in cui vecchia e nuova generazione imparano a lavorare insieme, si ascoltano, si mettono alla prova. Troppo spesso, il cambio avviene in modo improvviso, oppure resta in stallo per anni, con ruoli ambigui e leadership indecise. Un altro limite riguarda la mancanza di un piano di evoluzione strategica.

Subentrare nella guida di un’impresa senza accompagnare il cambio generazionale con un progetto di rinnovamento − che può toccare il posizionamento, la digitalizzazione, le alleanze o l’innovazione di prodotto − significa perdere una chance preziosa per dare nuovo slancio all’azienda. Infine, c’è un aspetto culturale spesso trascurato: non tutte le imprese sono pronte ad accogliere il cambiamento. Qui diventa fondamentale avere un supporto esterno che non si limiti a “facilitare il dialogo”, ma aiuti a mettere a terra le scelte, a sciogliere le ambiguità e, quando serve, a inserire figure chiave capaci di accompagnare davvero il nuovo corso».

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Immagine di Simona Savoldi
Simona Savoldi

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